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ELEGANZA E' SEMPLICITA'

Elegantemente, la risposta è l'ironia

"L’eleganza è difficile, come ogni atto di cultura.

Dico cultura perché ogni cultura prevede

la ricerca del vero e del meglio.

Vero e meglio che in parte sono stilistici, formali, tecnici,

in parte sono sostanziali." 

Riccarda Rodinò di Miglione

2008 Gambrinus, Napoli (1° Pecha Kucha a Napoli)

NB

Il Pecha Kucha è un tipo di presentazione in cui l’oratore presenta 20 slide, ciascuna della durata di 20 secondi (avanzamento automatico), per un totale di 6 minuti e 40 secondi. Il nome Pecha Kucha è una parola colloquiale giapponese onomatopeica che vuol dire “chiacchiere, parlare del più e del meno” (cfr. l’inglese chit-chat).

Il Pecha kucha è on line per gentile concessione di Claudio Agrelli

che gentilmente mi ha curato la registrazione la serata al Gambrinus

L’ELEGANZA È SEMPLICITÀ


     Presento un progetto sull'eleganza. Ho subito visto il rischio di dire cose banali o addirittura non vere. Ma ho raccolto la sfida.


     L’idea di base è che l'eleganza non è una cosa che viene dall'esterno o da un accessorio, ma è anzi per il 75% già insita in noi. Noi possiamo aggiungere qualcosa di elegante, ma sarà sempre un dettaglio e il 25% restante. La natura è già alta, perfetta, senza sbavature, in altre parole è elegante.


      Un giorno guardavo una rivista e c’erano delle foto parecchio belle, però, mancava qualcosa, non erano eleganti. Mi sono messa in testa che sarei riuscita a fermarla, fissarla, bloccarla, trattenerla e imprimerla su carta. Siccome quest'idea è abbastanza intuitiva e veloce, e io nel frattempo fatto un sacco di riflessioni, ecco che sono arrivata ad un paio di considerazioni, alcune estetiche ed altre, credo un po’, etiche.


     L’eleganza non c’entra con la moda e non è solo una questione di apparenza, di aspetto esteriore. È stile, consapevolezza, compostezza, misura. A volte basta un filo di perle, un filo di tacco e un filo di trucco.

 

     L’eleganza non è appariscente, è un’equilibrata mescolanza di istintivo buon gusto e di scelte precise, di cura della sostanza e minuziosa attenzione a ogni dettaglio. Eleganza è il dettaglio, non è la spilla da tanti carati, ma è sapere dove appuntarla.

 

      La persona elegante a tavola non è quella che non fa cadere il maccherone sulla tovaglia, ma è quella fa finta di non accorgersene se capita al suo vicino. L’eleganza è cortesia. È rispetto per gli altri, attenzione al modo in cui ciò che diciamo, facciamo o mostriamo può essere percepito.

 

     Una persona elegante pratica l’understatement, che è una qualità prettamente inglese, ed è il mostrare il proprio stato emotivo in una tonalità più bassa di quella reale. Per cui non sarò stanco da morire, ma davvero stanco. È un gioco a due, in cui entrambi sanno che esiste una tara nelle proprie affermazioni. In Italia un buon esempio di understatement è la mafia: tutti sanno tutto, ma nessuno ne parla apertamente. Tutto è molto chiaro, anche se molte parole non vengono neanche pronunciate. L’eleganza è sottrazione. E sublimare il dolore e l’avversità.

 

     Elegante però è sempre un sapere scegliere. L’eleganza dista anni luce dal conformismo. Una scelta ponderata presuppone la conoscenza di regole. Bisogna conoscere le regole non per applicarle ciecamente, come burattini o soldati, ma piuttosto per sapere quali e quando le stai infrangendo. È importante essere padroni del proprio destino e non trovarsi mai ad essere agiti dalle situazioni.

 

     L’eleganza è una questione temporale e spaziale ed è l’opposto del ridicolo. Ovvero per dirla con Einstein è relativa. Meglio: è una relatività di una soggettività. È temporale nel senso che è una qualità temporanea, basta un secondo per perderla o ritrovarla, quante volte per qualche momento ci trasformiamo nella versione più goffa e catastrofica di noi stessi? È spaziale nel senso che vestirsi come masai o samurai va bene in  Africa o in Giappone. Metti una sera a cena, uno vestito da samurai, l’effetto sarà ridicolo e l’eleganza è coerenza.

 

     L’eleganza è difficile, come ogni atto di cultura. Dico cultura perché ogni cultura prevede la ricerca del vero e del meglio. Vero e meglio che in parte sono stilistici, formali, tecnici, in parte sono sostanziali.

 

     C’è chi pensa che l’eleganza sia un dono, un talento innato. In parte può essere vero. Ci sono persone che sanno muoversi, esprimersi, comunicare meglio di altre. Ma nessuno è condannato a essere volgare, ingombrante e fastidioso. E nessuno si può fidare solo dell’istinto. L’eleganza, la semplicità, la sobrietà sono qualità che possiamo apprendere e coltivare. E vale la pena di farlo. Non solo per renderci più gradevoli agli altri, ma anche per sentirci meglio in generale, forse con noi stessi.

 

     È giusto voler essere eleganti? Si discute, forse è obbligatorio. Secondo me è una cura. Io la intendo come un più profondo sentimento di civiltà e il marker di una raggiunta armonia interiore.


Estratto della presentazione di RRdM

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